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387 milioni di dollari di botcoin spariti dalle casse della MtGox

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I bitcoin tornano sotto i riflettori mediatici

Sabato 1 agosto Mark Karpeles, amministratore delegato dell’azienda di cambio MtGox, è stato arrestato con l’accusa di aver rubato centinaia di milioni di dollari di Bitcoin, la più famosa moneta virtuale.

La sua azienda, fondata nel 2010 dal programmatore Jed McCaleb e fallita nel febbraio dell’anno scorso, era leader nel cambio valuta dai soldi reali a quelli usati nella rete: i Bitcoin, appunto. Acquistata da questo imprenditore francese nel 2011, questo colosso è diventato praticamente da subito il punto di riferimento per tutti quegli utenti che volevano acquistare soldi spendibili nell’universo di internet.

Oggi, però, Karpeles è accusato di aver causato una perdita di valore del Bitcoin di 387 milioni di dollari, accendendo senza autorizzazione per due volte nel febbraio 2013 alla piattaforma per gonfiare il proprio portafoglio online per un totale di 1 milione di dollari, secondo quanto riporta Repubblica.it. Intanto lui nega tutto alla polizia giapponese, poiché MtGox aveva sede a Tokyo.

Come se non bastasse, anche i clienti dell’azienda sono coinvolti nell’inchiesta: secondo gli accertamenti riportati da Corriere.it, infatti, sarebbero 390 milioni di dollari in contanti quelli andati persi. Gli investigatori ipotizzano che siano stati incassati dallo stesso Karpeles. Un mistero che si infittisce, soprattutto con le scoperte fatte dopo le dichiarazioni dell’ex a.d., che dopo il fallimento aveva detto di aver perso 850mila bitcoins dei clienti, 100mila dei suoi per poi cambiare versione “ritrovandone” altri 200mila in un portafoglio digitale.

Oltre che con la giustizia nipponica, i problemi sorgono anche con quella americana, poiché l’arrestato si sarebbe rifiutato di dare spiegazioni del crack alle autorità USA. Quelli truffati, scrive Il Fatto Quotidiano, sono 127 mila, e a pendere sulla testa dell’ex numero uno della MtGox adesso rischia 5 anni di carcere o 3600 euro di multa (500mila yen): una situazione orribile per quella che si riteneva essere la più grande piazza 2.0 di scambio di valute, su cui si basano centinaia di siti.

Alcuni media italiani hanno trasmesso la notizia che parte di quei soldi possano essere stati trasferiti come finanziameti perfino all’ISIS, ma dichiarazioni in questo senso non si trovano da nessuna parte. Sicuramente un’ipotesi simile è la più pericola, anche prima che scoppiasse la bolla: l’uso di queste monete, i Bitcoin e altri sistemi di pagamento, hanno fatto nascere paure e perplessità su possibili riciclaggi da parte di organizzazioni mafiose e terroristiche, come raccontava Wired Italia in un proprio servizio qualche mese fa.

Breve storia dei bitcoin

Nata nel 2009 ad opera di un anonimo giapponese con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, la moneta elettronica Bitcoin è tra le più diffuse in tutto il mondo. Si basa, insieme a tutti gli altri casi di valuta digitale, sul concetto di “cryptomoneta” ideato nel 1998 da Wei Dai, nome di spicco del Cypherpunks, il movimento che alla fine del secolo scorso vedeva nell’informatica l’inizio di una nuova concezione della realtà, secondo il quale “moneta è ogni oggetto (…) che sia accettato come pagamento (…) in un dato paese o contesto socio-economico”, si legge su Wikipedia.

In pratica, la differeza tra la moneta come la conosciamo tutti (quindi contanti, bancomat, ecc…) e quella virtuale è che questa non è rilasciata da banche o autorità economiche, bensì è regolata dalle transizioni peer-to-peer, da computer a computer. Il suo utilizzo è stato spesso visto come soluzione alle crisi economiche, poiché non il suo valore non viene modificato dal mercato, e gli utenti l’hanno scelta praticamente scelta all’unanimità: nel 2013, il controvalore totale dell’economia dei bitcoin era stimato da Bitstamp a 6 miliardi di dollari, con un cambio di 1 bitcoin a 540 dollari americani. Paroloni economici che sottolineano la sempre più grande rilevanza di questa moneta.

Al dilà dei termini tecnici dell’economia, non stiamo più parlando di una simpatica alternativa per comprarsi vite in più nei videogiochi. Quello che emerge è, invece, la possibilità di nuovi altri crack finanziari, e a farne le spese saranno soltanto gli utenti. Fin’ora i governi non hanno visto con molto interesse tutto ciò, ma forse sarà il momento di intervenire per tutelare chi decide di “trasformare” soldi contanti in digitali. Prima che il sistema collassi sotto il peso di molte altre speculazioni.



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